Decadenza agevolazioni per il tardivo invio della documentazione all’Enea


In caso di installazione di pannelli solari, l’omessa comunicazione preventiva all’Enea costituisce una causa ostativa alla concessione delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 1, co. 344 ss, della legge n. 296 del 2006 relative agli interventi di riqualificazione energetica (Corte di cassazione – ordinanza 21 novembre 2022, n. 34151).

A riguardo, i giudici della Corte hanno chiarito che l’art. 4, DM 19 febbraio 2007 si pone un obiettivo di controllo sulla effettiva spettanza dell’agevolazione, in modo da impedire eventuali frodi e attribuire all’organo deputato allo svolgimento di tali controlli un termine congruo per l’adempimento di tale funzione, diretta a verificare se effettivamente i lavori, in quanto diretti effettivamente a salvaguardare l’ambiente risparmiando energia o producendola in maniera “pulita” risultino meritevoli di vantaggi fiscali, astrattamente in deroga al principio di capacità contributiva e potenzialmente in contrasto con il principio di equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio dello Stato, ma in realtà conformi al principio in base al quale occorre trattare in maniera adeguatamente diseguale situazioni diseguali, ove la “diseguaglianza” sta nel riconoscimento, da parte dell’Enea, della particolare meritevolezza dei lavori, in quanto diretti a produrre, direttamente o indirettamente, effetti benefici per l’ambiente. La norma costituisce dunque un ragionevole bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica privata (che verrebbe seriamente ostacolata qualora il margine temporale con il quale va comunicato in anticipo la comunicazione all’E. fosse eccessivo), la tutela dell’ambiente e la tutela delle entrate fiscali dello Stato.
Non può sussistere dubbio invero, che un termine per la comunicazione della dichiarazione debba sussistere, non potendo l’Amministrazione finanziaria rimanere esposta per un periodo di tempo indeterminato alla scelta del contribuente circa quando fare valere la propria istanza di deduzione. Si osserva, ancora, come la legge preveda che l’Amministrazione finanziaria decade dalla possibilità di esercitare la propria funzione di controllo, allo scadere di termini brevi e tassativi, che non può pertanto lasciar decorrere in attesa delle scelte del contribuente.
L’Amministrazione finanziaria, con proprie circolari (nn. 57/1998 e 131/1998), ha indicato il termine utile per trasmettere la comunicazione in quello di scadenza per la presentazione della denuncia dei redditi relativa all’anno in cui le opere edili sono state eseguite. Per i giudici della Corte, la scelta appare assolutamente condivisibile, perché è proprio mediante la dichiarazione dei redditi che il contribuente domanda di avvalersi del beneficio.
Proprio al fine di agevolare il contribuente, pertanto, l’Agenzia delle Entrate ha deliberato con proprie circolari di considerare tempestive le dichiarazioni di valore pervenute dal contribuente dopo aver inviato la dichiarazione dei redditi, ma prima della scadenza del termine utile per la sua presentazione.
Nel caso di specie, la contribuente non ha rispettato neppure quest’ultimo termine, esibendo la dichiarazione quando i controlli eseguiti dall’Amministrazione finanziaria avevano pacificamente avuto inizio e si erano pure conclusi, e la ricorrente è perciò decaduta dalla possibilità di avvalersi del beneficio, non rilevando in questa ipotesi la invocata buona fede della contribuente, a fronte della sua manifestata negligenza.


Compenso professionisti: ritenuta d’acconto sul rimborso spese


In relazione al compenso dei professionisti, forniti chiarimenti sull’applicabilità della ritenuta d’acconto del 20% delle spese di precetto, monitorio ed esecuzione liquidate nell’ambito di un procedimento pignoratizio (Agenzia delle entrate – Risposta 23 novembre 2022, n. 570).

Nel caso di specie, l’Istante, in qualità di sostituto di imposta, rappresenta di rivestire la figura di terzo erogatore in un procedimento di pignoramento promosso nei confronti di una sua ex­dipendente e di dover quindi liquidare al creditore pignoratizio delle somme assegnate a titolo di sorte capitale, spese di precetto e spese di esecuzione.
Il creditore pignoratizio svolge l’attività professionale di avvocato.
L’Istante chiede di sapere se la ritenuta d’acconto del 20 per cento prevista per le procedure di pignoramento debba essere applicata anche sulle “spese di monitorio, precetto ed esecuzione” dovute al professionista.
Il creditore pignoratizio ha prodotto la dichiarazione sostitutiva di notorietà per comunicare l’importo del credito da non assoggettare a ritenuta in quanto riferibile a spese vive e per precisare che a tale credito si aggiungono le somme assegnate a titolo di spese di recupero (comprese quelle di monitorio) e spese di esecuzione alle quali è applicato il 15 per cento del rimborso forfettario sulle spese, il contributo del 4 per cento alla cassa avvocati e l’Iva al 22 per cento.
In particolare, il creditore pignoratizio, in una successiva dichiarazione sostitutiva di notorietà, che annulla la precedente, afferma che al credito si aggiungono le ulteriori somme come indicate nel conteggio soggette a ritenuta, senza però indicare la ritenuta d’acconto sulle spese di precetto, di monitorio e di esecuzione.
Nel caso in esame, non appare sussistere la dichiarazione del creditore pignoratizio attestante l’insussistenza, in tutto o in parte, delle condizioni per l’applicabilità della ritenuta alle spese di precetto (comprese quelle di monitorio).
Pertanto, secondo quanto chiarito nella richiamata circolare n. 8/E del 2011, l’Istante è tenuto ad applicare la ritenuta ai fini Irpef di cui all’articolo 21, comma 15,  della legge n. 449 del 1997, senza effettuare alcuna indagine, sussistendone i presupposti richiesti.
Al riguardo, l’articolo 54, comma 1, del Tuir, prevede che il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione.
Nella nozione di compenso rilevante ai sensi dell’articolo 54 del Tuir rientrano anche le somme che il lavoratore autonomo riaddebita al committente per il ristoro delle spese sostenute per l’espletamento dell’incarico, con la conseguenza che anche dette somme sono imponibili e devono essere assoggettate alla ritenuta alla fonte.
In tal senso, la base imponibile della ritenuta è costituita dall’ammontare dei compensi percepiti al lordo delle spese sostenute per conseguire i compensi stessi, con esclusione delle sole somme ricevute a titolo di rimborso di spese anticipate in nome e per conto del cliente, debitamente ed analiticamente documentate quali, ad esempio, i rimborsi per pagamenti di tasse e imposte, visure, ecc. a condizione comunque che tali spese non siano inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo.
In relazione al caso di specie, l’Agenzia ritiene, pertanto, che le somme liquidate per coprire le spese di precetto (comprese quelle di monitorio) e di esecuzione costituiscano compenso professionale e come tali assumano rilevanza ai fini Irpef per il creditore pignoratizio.
Del resto, lo stesso creditore pignoratizio ha applicato sulle somme in questione il rimborso forfetario delle spese di cui all’articolo 2, comma 2, decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, previsto nella misura del 15 per cento del compenso, il contributo previdenziale per la cassa degli avvocati che si applica nella misura del 4 per cento sul compenso e sul rimborso spese forfetario, nonché l’IVA del 22 per cento che si applica su tutte le voci precedenti.
In ragione di quanto sopra esposto, si condivide la soluzione prospettata dall’Istante di applicare sulle somme in questione e sugli onorari dovuti per gli atti di intervento la ritenuta d’acconto di cui all’articolo 21, comma 15, della legge n. 449 del 1997.


Cassazione: configurabilità della cessione d’azienda


Ricorre la cessione di ramo d’azienda quando venga ceduto un complesso di beni che conservi la propria identità, consentendo la prosecuzione dell’attività svolta prima del trasferimento (Corte di Cassazione, Ordinanza 16 novembre 2022, n. 33814).


 


Un lavoratore ricorreva in giudizio al fine di essere ammesso allo stato passivo del fallimento della società con la quale lo stesso sosteneva di aver instaurato un rapporto di lavoro subordinato a seguito della cessione di ramo d’azienda presso cui era adibito.


Il Tribunale rigettava la pretesa del lavoratore, negando la sussistenza di un rapporto di subordinazione tra le parti.
Avverso tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra i motivi, che l’avvenuta cessione doveva ritenersi dimostrata sulla base della comunicazione inviata al dipendente stesso a firma congiunta della cedente e della cessionaria, relativa proprio al trasferimento del ramo di azienda cui egli era addetto.


La Suprema Corte ha accolto il ricorso, rilevando che la cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi.
Tale nozione di trasferimento di ramo d’azienda può essere, inoltre, letta in correlazione con la disciplina in materia dell’Unione Europea, secondo cui è considerato come trasferimento quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria; criterio decisivo per stabilire se si configuri un trasferimento è, dunque, l’individuazione della circostanza che l’entità economica, indipendentemente dal mutamento del titolare, conservi la propria identità, il che risulta in particolare dal fatto che la sua gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa.


I Giudici di legittimità non hanno, infine, mancato di evidenziare che la prova dell’esistenza di tutti i requisiti che condizionano l’operatività del trasferimento incombe su chi intenda avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c.; in particolare, spetta alla società cedente l’onere di allegare e provare l’insieme dei fatti concretanti un trasferimento di ramo d’azienda.
Deve, tuttavia, negarsi l’esistenza di un principio, secondo il quale la dimostrazione del buon fondamento del diritto vantato dipenda unicamente dalle prove prodotte dal soggetto onerato e non possa altresì desumersi da quelle espletate, o comunque acquisite, ad istanza ed iniziativa della controparte, alla luce del principio cd. “di acquisizione probatoria”, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice; da tanto discendeva che, nel caso sottoposto ad esame, non era prospettabile alcuna inversione dell’onere probatorio posto a carico del datore di lavoro e, nella specie, assolto ai fini della individuazione degli elementi integranti la fattispecie del trasferimento del ramo d’azienda.

INPS: cumulo pensioni dei giornalisti con redditi da lavoro


Con il messaggio del 22 novembre 2022, n. 4213 l’INPS ha fornito chiarimenti sul regime di cumulo dei trattamenti pensionistici dei giornalisti iscritti alla Gestione INPGI/1 con i redditi da lavoro prodotti in Italia e all’estero.


 


I chiarimenti in oggetto riguardano, altresì, gli obblighi dichiarativi relativamente ai titolari di:


– trattamenti di invalidità;


– pensione anticipata;


– pensione anticipata c.d. lavoratori precoci.

L’Ente precisa che, per quanto riguarda l’individuazione del reddito da lavoro autonomo rilevante ai fini del divieto di cumulo, debbono essere presi in considerazione tutti i redditi comunque ricollegabili ad attività di lavoro svolte senza vincolo di subordinazione, indipendentemente dalle modalità di dichiarazione ai fini fiscali.

Trattamenti di invalidità


A decorrere dal 1° luglio 2022 le pensioni di invalidità sono cumulabili con i redditi da lavoro del beneficiario entro i limiti normativamente previsti (art. 1, co. 42, L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 10, D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 72, L. 23 dicembre 2000, n. 388).


Sulle pensioni di invalidità e sull’assegno ordinario di invalidità, liquidato al soggetto che presta attività lavorativa, si applicano due diverse e concomitanti discipline di incumulabilità.


Prioritariamente, trova applicazione la disciplina di cui all’art. 1, co. 42, L. n. 335/1995, secondo cui all’assegno di invalidità nei casi di cumulo con redditi di lavoro dipendente, autonomo o di impresa si applicano le seguenti riduzioni:


– 25 per cento dell’importo dell’assegno per un reddito superiore a quattro volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l’importo in vigore al 1° gennaio;


– 50 per cento dell’importo dell’assegno per un reddito superiore a cinque volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l’importo in vigore al 1° gennaio.


Detta riduzione precede l’incumulabilità prevista dall’art. 10, D.lgs n. 503/1992 e dall’art. 72, L. n. 388/2000.
Pertanto, sull’importo della prestazione risultante a seguito della riduzione effettuata a norma della legge n. 335/1995, si applica, per la sola quota eventualmente eccedente il trattamento minimo, il regime di incumulabilità con i redditi da lavoro di cui all’art.10 cit.. Le norme richiamate, quindi, trovano applicazione nei confronti dell’importo della prestazione decurtato, qualora sia stata liquidata con anzianità contributiva inferiore a 40 anni.


In particolare, le quote delle pensioni e degli assegni di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, delle forme di previdenza esclusive e sostitutive della medesima, delle gestioni previdenziali degli artigiani, degli esercenti attività commerciali, dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, eccedenti l’ammontare corrispondente al trattamento minimo, non sono cumulabili con i redditi da lavoro:


– dipendente, nella misura del 50 per cento, fino a concorrenza dei redditi stessi;


– autonomo, nella misura del 30 per cento, fino a concorrenza del 30 per cento del reddito da lavoro autonomo.


Per l’applicazione dell’incumulabilità con i redditi da lavoro dipendente, il lavoratore è tenuto a dichiarare per iscritto al datore di lavoro la propria qualità di pensionato e il datore di lavoro ha l’obbligo di detrarre dalla retribuzione una somma, pari all’importo della quota di pensione non dovuta per incumulabilità, e di versarla all’Istituto.


Per l’applicazione dell’incumulabilità con i redditi da lavoro autonomo la dichiarazione a preventivo 2022 potrà essere resa mediante una domanda di ricostituzione reddituale.

Incumulabilità della pensione anticipata


La pensione anticipata non è cumulabile, a fare data dal primo giorno di decorrenza e fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, a eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.


I redditi derivanti dallo svolgimento di attività lavorativa diversa da quella autonoma occasionale, che rilevano ai fini dell’incumulabilità della pensione, sono quelli percepiti nel periodo compreso tra la data di decorrenza del trattamento pensionistico e la data di compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia, a condizione che tali redditi siano riconducibili ad attività lavorativa svolta nel medesimo periodo.

Incumulabilità della pensione ai lavoratori c.d. precoci


A fare data dalla sua decorrenza il trattamento pensionistico di cui all’articolo 1, comma 199, della legge n. 232/2016, non è cumulabile con redditi da lavoro, subordinato o autonomo, per un periodo di tempo corrispondente alla differenza tra l’anzianità contributiva di cui all’art. 24, co. 10 e 12, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 e l’anzianità contributiva al momento del pensionamento.
In ogni caso, ai fini del conseguimento della pensione anticipata in argomento, è richiesto che il soggetto abbia cessato l’attività lavorativa, da intendersi quale attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all’estero.