DL Aiuti quater: disposizioni per lo sport


L’art. 13, DL 18 novembre 2022 n. 176 (DL Aiuti-quater), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 270 del 18 novembre 2022, ha introdotto nuove disposizioni in materia di sport.

Al fine di sostenere le federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate, gli enti di promozione sportiva e le associazioni e società sportive professionistiche e dilettantistiche che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nel territorio dello Stato e operano nell’ambito di competizioni sportive in corso di svolgimento, i versamenti tributari e contributivi sospesi (Iva, ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati, imposte sui redditi, contributi previdenziali e assistenziali, premi per l’assicurazione obbligatoria) dall’art. 1, co. 923, lett. a), b), c) e d), L 30 dicembre 2021, n. 234 (Legge di Bilancio 2022), dall’art. 7, co. 3-bis, DL 1° marzo 2022, n. 17, conv., in L 27 aprile 2022, n. 34 (decreto Energia), e in ultimo dall’art. 39, co. 1-bis, DL 17 maggio 2022, n. 50, conv., con modif. in L 15 luglio 2022 n. 91 (decreto Aiuti), comprensivi delle addizionali regionali e comunali, possono essere effettuati, senza applicazione di sanzioni o interessi, entro il 22 dicembre 2022.


Patto di non concorrenza: la variabilità del corrispettivo non è causa di nullità


La variabilità del corrispettivo previsto per il patto di non concorrenza, in base alla durata del rapporto di lavoro, non è di per sé causa di nullità dello stesso qualora l’importo risulti comunque determinabile in base a parametri oggettivi (Corte di Cassazione, Ordinanza 11 novembre 2022, n. 33424).


La Corte d’Appello territoriale, confermando la sentenza di primo grado, dichiarava nullo il patto di non concorrenza stipulato tra un lavoratore e la società datrice, per indeterminatezza ed indeterminabilità del corrispettivo del sacrificio richiesto al lavoratore, in quanto correlato alla durata del rapporto di lavoro, in mancanza di un importo minimo garantito e perciò non congruo.


La società ha proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza, lamentando, tra i motivi, la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, laddove si affermava, da un lato, che il corrispettivo del patto di non concorrenza (PNC) fosse indeterminato ed indeterminabile nel suo ammontare e, dall’altro, che lo stesso risultasse incongruo.


Tale doglianza è stata ritenuta fondata dalla Corte di legittimità che ha rilevato che, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, è necessario, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso sia determinato o determinabile; se determinato o determinabile, va verificato, poi, che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato.


Pertanto, come evidenziato dalla Suprema Corte, operano su diversi piani la nullità del patto di non concorrenza per indeterminatezza o indeterminabilità del corrispettivo che spetta al lavoratore, e la nullità che ricorre laddove il corrispettivo non sia pattuito, ovvero sia simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato.


Tanto premesso, la decisione della Corte distrettuale è stata, dunque, cassata per essere, questa, pervenuta ad affermare la nullità del patto in modo improprio, senza accertare se il corrispettivo pattuito (pacificamente esistente) fosse da considerare simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, ed operando una sovrapposizione tra la questione della determinabilità del corrispettivo, diversa da quella della sua congruità, atteso che la variabilità del corrispettivo, rispetto alla durata del rapporto di lavoro, non implica che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi.

Tax credit fondazioni ITS Academy: codice tributo 6992


Istituito il codice tributo per l’utilizzo in compensazione, tramite modello F24, del credito d’imposta riconosciuto per le erogazioni liberali in denaro effettuate in favore delle fondazioni ITS Academy (Agenzia delle entrate – Risoluzione  18 novembre 2022, n. 68/E).

L’articolo 4, comma 6, della legge 15 luglio 2022, n. 99, ha previsto un credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro, effettuate in favore delle fondazioni ITS Academy. In particolare:
a) il credito d’imposta è utilizzabile in tre quote annuali di pari importo a partire dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale è effettuata l’elargizione, ovvero in compensazione;
b) per i soggetti titolari di reddito d’impresa, ferma restando la ripartizione in tre quote annuali di pari importo, il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione.
Ai fini dell’utilizzo in compensazione, il modello F24 è presentato esclusivamente tramite i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento.
Tanto premesso, per consentire ai beneficiari l’utilizzo in compensazione del credito d’imposta in argomento tramite il modello F24, è istituito il seguente codice tributo:
– “6992” denominato “CREDITO D’IMPOSTA IN FAVORE DELLE FONDAZIONI ITS ACADEMY – articolo 4, comma 6, della legge 15 luglio 2022, n. 99”.
In sede di compilazione del modello di pagamento F24, ai fini dell’utilizzo in compensazione del credito d’imposta, il suddetto codice tributo è esposto nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”.
Nel campo “anno di riferimento” è indicato l’anno d’imposta nel quale sono state effettuate le erogazioni liberali, nel formato “AAAA”.


Autodichiarazione “Temporary framework”: il Fisco risponde


18 NOV 202 Online le risposte alle domande più frequenti sulle modalità di compilazione dell’autodichiarazione per gli aiuti di stato Covid 19 da presentare entro il 30 novembre 2022 (AGENZIA DELLE ENTRATE – Comunicato 17 novembre 2022)

Tra i vari quesiti posti all’Amministrazione finanziaria anche quello della presentazione dell’autodichiarazione da parte delle imprese con P.IVA cessata. Precisamente, viene chiesto se è corretto ritenere che anche le imprese cessate precedentemente al termine di presentazione dell’autodichiarazione siano tenute al rispetto dell’obbligo.
Al riguardo il Fisco chiarisce che il comma 1 dell’articolo 2 del DM 11 dicembre 2021 dispone che i soggetti beneficiari degli aiuti richiamati dall’art. 1 presentano all’Agenzia delle entrate un’autodichiarazione ai sensi dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nella quale attestano che l’importo complessivo degli aiuti fruiti non supera i massimali di cui alla sezione 3.1 ovvero alla sezione 3.12 della comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final, recante «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza da Covid-19», e successive modificazioni».
Pertanto, l’individuazione dei soggetti obbligati alla presentazione dell’autodichiarazione è collegata alla fruizione degli aiuti del cd. regime ombrello.
In linea generale, si ritiene che la chiusura della partita IVA non escluda il beneficiario degli aiuti dall’obbligo di presentare l’autodichiarazione. Quest’ultima rappresenta, tra l’altro, lo strumento con cui il beneficiario assume l’impegno all’eventuale restituzione delle somme beneficiate in eccesso rispetto ai massimali fissati dal TF.
In particolare, nell’ipotesi di cessazione della partita IVA societaria – in linea con quanto disposto, con riferimento agli adempimenti dichiarativi, dall’articolo 5 del d.P.R. n. 322 del 1998 – si ritiene ragionevole affidare l’onere di presentare l’autocertificazione al liquidatore oppure all’ultimo amministratore.
L’onere di restituzione delle somme eccedenti resta tuttavia a carico dei soci che ne rispondono illimitatamente, se trattasi di società di persone, ovvero solo nei limiti del riscosso in caso di società di capitali (in linea con quanto stabilito, con riferimento al pagamento delle imposte, dall’articolo 36, terzo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973).
Peraltro, l’articolo 28 del decreto legislativo n. 175 del 2014 (cd. decreto semplificazioni), che ha modificato il citato articolo 36, dispone al comma 4 che «Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese».
Al riguardo si ricorda che in tema di CFP COVID-19, è stato già chiarito che, anche nelle ipotesi di attività cessate a seguito della percezione del contributo, il soggetto firmatario dell’istanza inviata in via telematica è tenuto a conservare tutti gli elementi giustificativi del contributo spettante e a esibirli, a richiesta, agli organi istruttori dell’amministrazione finanziaria (cfr. circolare n. 15/E del 2020).
Tenuto conto anche dell’esistenza di termini per il controllo degli aiuti fruiti che non risultano interrotti anche a seguito della chiusura della partita IVA, deve concludersi che resta fermo l’obbligo di presentazione dell’autodichiarazione anche in relazione ai soggetti cd. cessati.