Imponibili i compensi del professionista con residenza effettiva in Italia


Sono imponibili i compensi fatturati dalla società schermo londinese del professionista con residenza effettiva in Italia (Corte di cassazione – ordinanza 16 novembre 2022, n. 33832).

Il caso si riferisce ad un contribuente che aveva fittiziamente trasferito la residenza nel Regno Unito, ma in realtà aveva mantenuto la residenza sostanziale in Italia. Ed infatti, mentre nel Regno Unito egli non svolgeva alcuna attività di lavoro, non era proprietario o locatario di immobili e non pagava le imposte, viceversa, in Italia, aveva rapporti lavorativi costanti con due strutture ospedaliere, era proprietario di alcuni beni immobili (ubicati uno a Lampedusa e quattro a Milano), ed aveva il proprio nucleo famigliare.


Inoltre, il contribuente per sottrarsi all’obbligo di pagare le imposte in Italia, si era avvalso di uno schermo fiscale (il cui oggetto sociale era estraneo al campo medico-sanitario visto che svolgeva servizi di segreteria e amministrativi relativi alla professione medica), la quale non aveva mai avuto contatti con le strutture ospedaliere presso le quali l’ortopedico prestava la propria attività e che, in sintesi, era una sorta di contenitore dei proventi prodotti in Italia per sottoporli ad una legislazione fiscale più favorevole.


Secondo i giudici, in base all’accertamento fiscale il contribuente era soggetto passivo Irpef in ragione del fatto che, pur essendo iscritto all’A.I.R.E., manteneva la residenza sostanziale in Italia, dove svolgeva prestazioni sanitarie per due strutture ospedaliere, e si avvaleva, per la fatturazione, di una società del Regno Unito, quale soggetto fittiziamente interposto (cd. esterovestizione);


Il giudice, in linea con la giurisprudenza di legittimità, non ha circoscritto la propria indagine ad una valutazione atomistica degli elementi presuntivi e, anzi, all’esito di un giudizio di sintesi, ha ravvisato la convergenza globale dei dati fattuali acquisiti verso un risultato conoscitivo coerente con l’accertamento tributario.


Accesso al Fondo di garanzia INPS per il socio lavoratore di cooperativa


L’ art. 24, L. n. 196/1997, di estensione dell’intervento del Fondo di garanzia dell’INPS per il pagamento del T.f.r. in favore di soci lavoratori di cooperative in situazione di insolvenza, può essere applicato retroattivamente solo a condizione che siano stati pagati i contributi previdenziali per il periodo precedente all’entrata in vigore della disposizione. Tanto è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 10 novembre 2022, n. 33136.


 


La Suprema Corte ha definitivamente confermato la sentenza d’appello che aveva rigettato la domanda proposta dal socio lavoratore di una cooperativa, ammesso per il credito per T.f.r. allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della società datrice, volta ad ottenere il pagamento dal Fondo di garanzia INPS anche per il T.f.r. maturato prima del luglio 1997, cioè con riferimento al periodo precedente all’estensione, ex L. n. 196/1997, della disciplina in materia di fondo di garanzia per il T.f.r. ai soci lavoratori di cooperativa.


La Corte d’appello territoriale, in particolare, aveva ritenuto non meritevole di accoglimento la pretesa, alla luce dell’assenza di prova della corresponsione della contribuzione volontaria a carico del lavoratore, non operando, nel caso in esame, il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali riguardante il versamento contributivo obbligatorio.


Il Collegio, condividendo le conclusioni raggiunte dai giudici di merito, ha richiamato i consolidati precedenti giurisprudenziali, ribadendo che l’art. 24, L. n. 196 del 1997, di estensione dell’intervento del Fondo di garanzia dell’INPS per il pagamento del T.f.r. in favore di soci lavoratori di cooperative in situazione di insolvenza, può essere applicato retroattivamente, ma a condizione che siano stati pagati i contributi previdenziali per il periodo precedente all’entrata in vigore della disposizione, attesa la ratio della norma transitoria, che riconosce rilevanza all’assicurazione volontariamente e irretrattabilmente istituita dalle cooperative e la finalità dell’intervento normativo, consistente nel riconoscimento della garanzia del credito per T.f.r. nei limiti in cui sia stato reso operativo in favore dei soci dall’autonomia contrattuale, a seguito di conforme previsione statutaria o assembleare o di comportamenti concludenti, quali il versamento della prescritta contribuzione.


Ebbene, nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che la Corte territoriale avesse correttamente richiamato i menzionati precedenti, disattendendo, inoltre, la tesi seguita dal Tribunale, secondo cui vi era prova dell’effettivo pagamento dei contributi volontari al Fondo di garanzia, essendo stato accertato che quelli versati prima del luglio 1997 erano contributi previdenziali di diversa natura seppure sempre riferiti al medesimo rapporto.


Approvazione Decreto aiuti-ter: supporto alle imprese colpite dall’aumento dei prezzi dell’energia


Approvato in via definitiva il disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge n. 144/2022, in materia di politica energetica nazionale, produttività delle imprese, politiche sociali e per la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Si riportano di seguito le misure a supporto delle imprese colpite dall’aumento dei prezzi dell’energia, a seguito delle modifiche apportate dalla Camera (SENATO – Comunicato 16 Novembre 2022).

L’articolo 3, ai commi 1, 2 e 5 interviene sulle garanzie che SACE è autorizzata a concedere – ai sensi dell’articolo 15 del D.L. n. 50/2022 – su finanziamenti bancari sotto qualsiasi forma alle imprese con sede in Italia, colpite dagli effetti economici negativi conseguenti all’aggressione russa all’Ucraina.
Nello specifico, il comma 1 prevede che le Garanzie SACE sui finanziamenti bancari concessi alle imprese per esigenze di pagamento delle fatture per consumi energetici, emesse nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2022, siano prestate a titolo gratuito qualora il tasso di interesse applicato alla quota garantita del finanziamento non superi, al momento della richiesta di garanzia, il rendimento dei buoni del Tesoro poliennali (BTP).
Ai sensi del comma 2, l’ammontare garantito del finanziamento può essere elevato fino a coprire il fabbisogno di liquidità per i successivi 12 mesi per le piccole e medie imprese e per i successivi 6 mesi per le grandi imprese, in ogni caso entro un importo non superiore a 25 milioni di euro, a condizione che il beneficiario sia classificabile come impresa a forte consumo di energia.
Il comma 5 interviene sulle condizioni di accesso alla garanzia e sopprime il requisito per cui le imprese beneficiarie devono aver subìto una contrazione della produzione o della domanda. Contestualmente, nelle esigenze di liquidità delle imprese, esplicita che sono comprese quelle relative agli obblighi di fornire collaterali per le attività di commercio sul mercato dell’energia.
L’articolo 3, al comma 4, modifica le condizioni per il rilascio della riassicurazione SACE dei crediti da fattura energetica – consentita dall’articolo 8 del D.L. 21/2022 – sopprimendo l’inciso che limitava l’operatività della misura alle sole imprese con fatturato non superiore a 50 milioni di euro (lett. a)). Contestualmente, consente che la garanzia SACE possa essere rilasciata a titolo gratuito nei casi in cui il premio applicato dalle imprese di assicurazione non superi la componente di rendimento applicabile dei Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) di durata media pari a 12 mesi (lett. b)).
Ai sensi del comma 3, la garanzia del Fondo di garanzia PMI, su finanziamenti individuali, successivi al 24 settembre 2022 e destinati alla copertura del pagamento delle fatture energetiche, emesse nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2022, può essere concessa a titolo gratuito, laddove siano rispettate le medesime condizioni previste dal comma 1 per la gratuità delle garanzie SACE. La garanzia del Fondo copre l’80 per cento dell’importo del finanziamento a favore di tutte le imprese, a prescindere dalla classe di merito di credito di appartenenza di esse.
Il comma 6 interviene sull’articolo 64, comma 3 del D.L. n. 76/2020 che disciplina la procedura di rilascio delle garanzie SACE nell’ambito di finanziamenti volti a favorire progetti riconducibili al green new deal. Il comma, in particolare, innalza da 200 a 600 milioni di euro il limite di ammontare garantito previsto, oltre il quale il rilascio della garanzia SACE è subordinato alla decisione ministeriale.
Le misure contenute nell’articolo sono subordinate, ai sensi del comma 7, alla approvazione della Commissione europea.
Il comma 8 – modificato dalla Camera dei deputati – reca norme per l’attuazione degli interventi, a valere su risorse già disponibili a legislazione vigente.

Risarcimento del danno non patrimoniale per demansionamento

In caso di condotta del datore di lavoro (demansionamento e inoperosità del lavoratore), anche se colposa e non dolosa, da cui siano causalmente derivati danni alla persona del lavoratore, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale la mancata liquidazione dell’indennizzo a carico dell’INAIL non costituisce condicio iuris per la proposizione della domanda risarcitoria nei confronti del datore di lavoro (Corte di Cassazione – Sentenza 15 novembre 2022, n. 33639).

IL CASO

I lavoratore ha convenuto in giudizio il datore di lavoro per comportamento asseritamente mobbizzante, concretizzato attraverso il demansionamento e l’emarginazione nel proprio ambiente di lavoro, richiedendo oltre al danno patrimoniale, il risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale e morale connesso allo sviluppo di una malattia psico-somatica.
Il Tribunale adito ha confermato il danno patrimoniale, escludendo la responsabilità del datore di lavoro per il danno danno biologico e per quello esistenziale e morale avuto riguardo, per il primo, alla pregiudiziale copertura pubblica apprestata dall’Inail, non evocato in giudizio, e, per il secondo, al connotato proprio di danno differenziale, non adeguatamente dedotto dalla parte che non aveva specificato in quale misura l’indennizzo assicurativo garantito dall’Istituto non era in grado di ristorare il pregiudizio alla sfera relazionale e soggettiva dell’assicurato.
La Corte d’appello, nel confermare la pronuncia, ha dedotto l’inesistenza di una macchinazione dolosa del datore di lavoro finalizzata all’emarginazione del lavoratore nel proprio ambiente di lavoro. In ordine alle voci di danno non patrimoniale, i giudici hanno inoltre aggiunto che la liquidazione dell’indennizzo a carico dell’Inail si configura come una vera e propria condicio iuris della domanda risarcitoria in difetto della quale il danneggiato non può agire nei confronti del responsabile civile. Nella fattispecie il lavoratore non aveva avanzato alcuna richiesta all’Istituto.
La decisione è stata impugnata dal lavoratore rivendicando la possibilità di un’azione diretta nei confronti del datore di lavoro per il ristoro del danno biologico, e comunque dei danni non patrimoniali, conseguenti una malattia psico-somatica determinata dal demansionamento, e comunque la legittimazione passiva del datore di lavoro per il risarcimento del danno cd. differenziale.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE

In tema di reciproca interferenza delle regole che presiedono il sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali con le azioni di risarcimento del danno promosse dal lavoratore colpito da eventi cagionati dall’espletamento dell’attività lavorativa la Corte di Cassazione ha affermato i seguenti principi.
L’assicurazione obbligatoria esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nell’ambito dei rischi coperti dall’assicurazione, con i suoi limiti oggettivi e soggettivi, per cui laddove la copertura assicurativa non interviene per mancanza di presupposti, l’esonero non opera; in tali casi, per il risarcimento dei danni convenzionalmente definiti “complementari”, vigono le regole generali del diritto comune previste in caso di inadempimento contrattuale.
L’esonero del datore di lavoro non opera anche allorquando venga accertato che i fatti da cui deriva l’infortunio o la malattia “costituiscano reato sotto il profilo dell’elemento soggettivo e oggettivo”, per cui la responsabilità permane “per la parte che eccede le indennità liquidate” dall’INAIL ed il risarcimento “è dovuto” dal datore di lavoro. Di qui la nozione di danno cd. “differenziale”, inteso come quella parte di risarcimento che eccede l’importo dell’indennizzo coperto dall’assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro ove il fatto sia riconducibile ad un reato perseguibile d’ufficio; parallelamente la disciplina assicurativa, nella ricorrenza del medesimo presupposto, consente all’INAIL di agire in regresso nei confronti del datore di lavoro “per le somme pagate a titolo di indennità”.
E’ escluso “che le prestazioni eventualmente erogate dall’INAIL esauriscano di per sé e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato”. Con la conseguenza che il lavoratore potrà richiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno cd. “differenziale”, allegando in fatto circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, ed il giudice, accertata in via incidentale autonoma l’illecito di rilievo penale, potrà liquidare la somma dovuta dal datore, detraendo dal complessivo valore monetario del danno civilistico, calcolato secondo i criteri comuni, quanto indennizzabile dall’INAIL, con una operazione di scomputo che deve essere effettuata ex officio ed anche se l’Istituto non abbia in concreto provveduto all’indennizzo.
Il giudice di merito, dopo aver calcolato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l’indennizzo erogato dall’Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo, oltre al danno patrimoniale, ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale. Pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest’ultimo alla quota INAIL rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall’importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita INAIL destinata a ristorare il danno biologico permanente.
Inoltre, afferma la Corte di Cassazione, la disciplina assicurativa deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso.
In conclusione, la Suprema Corte dispone la cassazione della pronuncia laddove ritiene la liquidazione dell’indennizzo a carico dell’INAIL come condicio iuris per la proposizione della domanda risarcitoria nei confronti del datore di lavoro e, pur ritenendo l’illecito datoriale rappresentato dal demansionamento inflitto al lavoratore, non procede all’accertamento e alla liquidazione dei danni non patrimoniali sulla base dei principi di diritto innanzi richiamati.
Anche sotto il profilo dell’accertamento del danno differenziale la Corte di Cassazione ha statuito la cassazione della pronuncia affermando che è sufficiente che siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, sottolineando che anche la violazione delle regole di cui all’art. 2087 c.c., norma di cautela avente carattere generale, è idonea a concretare la responsabilità penale. Spetta poi al giudice il compito di qualificare giuridicamente i fatti e sussumerli nell’alveo della fattispecie penalistica, accertando autonomamente ed in via incidentale la sussistenza del reato. Inoltre la richiesta del lavoratore di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dall’inadempimento datoriale, è idonea a fondare un petitum rispetto al quale il giudice dovrà applicare il meccanismo legale previsto dall’art. 10 d.P.R. n. 1124/65, pur dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all’indennizzo, atteso che, rappresentando il differenziale normalmente un minus rispetto al danno integrale preteso, non può essere considerata incompleta al punto da essere rigettata una domanda in cui si richieda l’intero danno. Ciò in quanto in materia di azioni di risarcimento del danno, viene in rilievo non la qualificazione formale ma la natura e le caratteristiche del pregiudizio stesso. La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale è una domanda di carattere onnicomprensivo e l’unitarietà del diritto al risarcimento e la normale non frazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta.
In relazione alla condotta della datore di lavoro, la Corte Suprema ha evidenziato, altresì, che anche qualora sia esclusa una “macchinazione dolosa” nei confronti del lavoratore, ma sia acclarato che lo stesso versasse “in condizioni di sostanziale inoperosità”, con progressivo “svuotamento” delle mansioni affidate, il giudice deve accertare se da tale condotta del datore di lavoro, anche se colposa, siano causalmente derivati danni alla persona del lavoratore a contenuto non patrimoniale e provvedere alla liquidazione degli stessi.