Ulteriore rideterminazione temporanea aliquote di accisa sui carburanti


Forniti chiarimenti sull’ulteriore rideterminazione temporanea delle aliquote di accisa sui carburanti e sugli adempimenti per gli esercenti (Agenzia delle dogane e dei monopoli – Circolare 08 giugno 2022, n. 23).

La legge 20 maggio 2022, n. 51, nel convertire il decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, ha introdotto l’art. 1-bis riproducente le disposizioni dell’art. 1 del decreto-legge 2 maggio 2022, n. 38.
Si rammenta che il citato art.1 del decreto-legge n. 38/2022, ora abrogato dalla della legge n. 51/2022 (art. 1, comma 2), aveva apportato un’ulteriore rideterminazione di talune aliquote di accisa di cui all’Allegato I al testo unico approvato con il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, (TUA), senza soluzione di continuità e nelle misure fissate dai precedenti interventi normativi di riduzione temporanea.
L’art. 1-bis, comma 1, lett. a), del decreto-legge n. 21/2022 conferma la vigenza delle aliquote di accisa sotto specificate a decorrere dal 3 maggio 2022):
– benzina: euro 478,40 per mille litri;
– oli da gas o gasolio usato come carburante: euro 367,40 per mille litri;
– gas di petrolio liquefatti (GPL) usati come carburante: euro 182,61 per mille chilogrammi.
Viene così mantenuta l’efficacia delle riduzioni operate dapprima dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 21/2022 e dall’art. 1 del decreto 18 marzo 2022 del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della transizione ecologica (a decorrere dal 22 marzo 2022) e, successivamente, dal decreto interministeriale 6 aprile 2022 (a decorrere dal 22 aprile 2022 per la benzina ed il gasolio, dal 21 aprile 2022 per i GPL, e fino al 2 maggio 2022 per tutti i menzionati prodotti).
Il medesimo art. 1-bis, comma 1, lett. a), del decreto-legge n. 21/2022, sempre a decorrere dal 3 maggio e fino all’8 luglio 2022, ha ricompreso nella rideterminazione temporanea anche un’ulteriore aliquota di accisa di cui si riporta la variazione intervenuta:
– gas naturale usato per autotrazione: da euro 0,00331 per metro cubo ad euro zero per metro cubo.
Di tale aliquota si dovrà tener conto in sede di liquidazione dell’accisa nelle fatturazioni relative ai quantitativi di gas naturale per uso autotrazione forniti nel predetto arco temporale.
Le aliquote di accisa così rideterminate restano in vigore fino all’8 luglio 2022.
L’art. 1-bis, comma 2, mantiene fino al suddetto termine dell’8 luglio 2022 la disapplicazione della aliquota ridotta prevista per il gasolio commerciale dal punto 4-bis della Tabella A allegata al TUA di cui ordinariamente beneficiano gli esercenti trasporto di merci e trasporto di persone (art. 24-ter del TUA), inglobando anche il periodo che va dal 22 aprile al 2 maggio 2022 di vigenza del decreto interministeriale 6 aprile 2022. Conseguentemente non si darà luogo, per il secondo trimestre 2022, alla presentazione della dichiarazione di rimborso dell’accisa sui litri di gasolio consumati.
L’art. 1-bis, comma 3, fissa l’obbligo per gli esercenti depositi commerciali di cui all’art. 25, comma 1, del TUA nonché impianti di distribuzione stradale di carburanti di cui al comma 2, lett. b), del medesimo art. 25 di trasmettere al competente Ufficio delle dogane, tramite PEC ovvero per via telematica, entro il 15 luglio 2022, i dati dei quantitativi fisici dei carburanti le cui aliquote sono state da ultimo rideterminate giacenti nei serbatoi alla fine della giornata dell’8 luglio 2022.
Lo stesso comma 3 sancisce il venir meno del pregresso obbligo di comunicazione delle giacenze disposto dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 21/2022 originariamente riguardante solo la benzina ed il gasolio usato come carburante (rilevazione delle giacenze alla data del 21 aprile 2022) facendo salvi, in ragione dell’avvenuto assorbimento dell’adempimento, eventuali comportamenti omissivi posti in essere dagli esercenti. Va da sé che non sono configurabili come illeciti amministrativi neanche possibili inosservanze dell’art. 1 della determinazione direttoriale prot. 177707/RU del 22 aprile 2022 (rilevazione delle giacenze alla data del 2 maggio 2022).
Infine, cessato il periodo di specifica efficacia, non trova più applicazione l’adempimento di cui all’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 21/2022, in virtù del quale i titolari dei depositi fiscali e gli esercenti dei depositi commerciali di cui agli art. 23 e 25 del TUA erano tenuti a riportare nel documento amministrativo semplificato telematico l’aliquota di accisa applicata ai quantitativi dei prodotti energetici ivi indicati.


Via libera per il servizio di ricarica auto elettriche private dei dipendenti nel Welfare aziendale


Rientra nel regime di esclusione dal reddito di lavoro dipendente di cui all’art. 51, co. 2, lett. f), D.P.R. n. 917/1986, il servizio di ricarica gratuito delle auto elettriche che la società datrice di lavoro offre ai propri dipendenti (Agenzia Entrate – risposta 10 giugno 2022 n. 329).

L’art. 51, co. 1, D.P.R. n. 917/1986, prevede che costituiscono reddito di lavoro dipendente “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.


La predetta disposizione include nel reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro (c.d. “principio di onnicomprensività”), salve le tassative deroghe contenute nei successivi commi del medesimo art. 51.


In particolare, il co. 2, lett. f), del cit. art. 51 del Tuir dispone che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto”.


In relazione all’ambito di operatività della lettera f), l’Agenzia delle Entrate ha più volte precisato che, affinché si determini l’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, devono verificarsi congiuntamente le seguenti condizioni:


– le opere e i servizi devono essere messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti;


– le opere e i servizi devono riguardare esclusivamente erogazioni in natura e non erogazioni sostitutive in denaro;


– le opere e i servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto di cui all’art. 100, co. 1, del Tuir.


Le opere e i servizi contemplati dalla norma possono essere messi direttamente a disposizione dal datore di lavoro o da parte di strutture esterne all’azienda, a condizione che il dipendente resti estraneo al rapporto economico che intercorre tra l’azienda e il terzo erogatore del servizio.


In considerazione della finalità della predetta normativa, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la disposizione di cui all’art. 51, co. 2, lett. f) del Tuir possa applicarsi anche nella ipotesi in cui il datore di lavoro, allo scopo di promuovere un utilizzo consapevole delle risorse ed atteggiamenti responsabili dei dipendenti verso l’ambiente, attraverso il ricorso alla mobilità elettrica, offra ai propri dipendenti il servizio di ricarica dell’auto elettrica.


Illegittimo il licenziamento del dirigente dissenziente


E’ illegittimo il licenziamento del dirigente – direttore generale che, anche al fine di non incorrere in responsabilità verso la società per atti e comportamenti degli amministratori, eserciti, in maniera non pretestuosa, il diritto al dissenso, con modalità non diffamatorie o offensive (Corte di Cassazione, Sentenza 31 maggio 2022, n. 17689).


La vicenda


La Corte distrettuale respingeva l’appello proposto da un lavoratore, direttore generale con qualifica di dirigente, volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli.
I giudici, nel respingere l’appello, avevano evidenziato che il dirigente nei primi giorni di ingresso in azienda aveva manifestato al consigliere delegato le sue riserve sulla valutazione di alcune poste contabili inserite nella bozza del bilancio e che lo stesso aveva poi partecipato alla riunione del consiglio di amministrazione della società, nel corso della quale aveva dato lettura di un documento in cui manifestava critiche al bilancio, rivelatesi, in seguito alle verifiche svolte, sostanzialmente infondate;
pertanto la società aveva provveduto a muovere una contestazione disciplinare al dirigente che, con lettera, forniva giustificazioni.


Alla luce di tanto, i giudici hanno ritenuto che il licenziamento intimato fosse sorretto da giusta causa, o quanto meno da giustificatezza, sul presupposto che la facoltà del dirigente di sollevare perplessità circa il bilancio della società datrice di lavoro, non legittimava lo stesso, specialmente nelle fasi iniziali del rapporto di lavoro, a pubblicizzare le proprie perplessità, a descrivere sempre pubblicamente le fattispecie di reato potenzialmente configurabili in caso di mancato accoglimento dei rilievi dallo stesso sollevati e ad addebitarne la responsabilità ai membri del CdA della società.


La Corte aveva, inoltre, ritenuto che i comportamenti del dirigente già nelle fasi iniziali del rapporto rivelavano come lo stesso si fosse volontariamente posto in contrapposizione con le scelte adottate dagli organi gestionali della società e come, quindi, non potesse sussistere alcun rapporto di fiducia e che l’evidente infondatezza delle censure espresse alla bozza di bilancio giustificava il licenziamento irrogato.


La pronuncia della Cassazione


La Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dal lavoratore, ha richiamato alcuni consolidati principi di diritto, tra cui quello in base al quale il comportamento del lavoratore, consistente nella divulgazione di fatti ed accuse, ancorché vere, obiettivamente idonee a ledere l’onore o la reputazione del datore di lavoro, esorbita dal legittimo esercizio del diritto di critica e può configurare un fatto illecito, consentendo il recesso del datore di lavoro, se l’illecito stesso risulta incompatibile con l’elemento fiduciario necessario per la prosecuzione del rapporto, qualora si traduca in una condotta che sia imputabile al suo autore a titolo di dolo o di colpa, e che non trovi adeguata e proporzionale giustificazione nell’esigenza di tutelare interessi di rilevanza giuridica almeno pari al bene oggetto dell’indicata lesione.


Tenuto conto, poi, del ruolo di direttore generale rivestito dal lavoratore, la Corte di legittimità ha posto in evidenza i profili di responsabilità legati a tale figura e la valenza del diritto al dissenso come meccanismo di esonero dalla responsabilità.
La sentenza impugnata, difatti, aveva ritenuto, erroneamente, esorbitante la manifestazione di dissenso del dipendente per avere egli esposto le critiche pubblicamente, senza documenti a supporto e sapendo che si trattava di una bozza di bilancio modificabile.
Ravvisando, dunque, in tale condotta la giusta causa di recesso, la stessa sentenza si è, invero, posta in contrasto con il principio in base al quale deve escludersi che l’esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro possa essere di per sé fonte di responsabilità disciplinare e giustificare il licenziamento per giusta causa, a meno che la denuncia non abbia carattere calunnioso.
Pertanto, non può attribuirsi rilevanza disciplinare atta ad integrare di per sé la giusta causa di recesso alla condotta di un lavoratore, dirigente e direttore generale che, senza neanche rivolgersi all’autorità giudiziaria o amministrativa, si limiti a ipotizzare la configurabilità di illeciti penali o amministrativi, mettendo in guardia i soggetti insieme a lui teoricamente responsabili.


Nei confronti del dirigente in questione la Corte d’appello aveva ritenuto, inoltre, integrato il requisito di giustificatezza del licenziamento in ragione della contrapposizione con le scelte datoriali, desumibile dalla complessiva condotta tenuta dal dipendente, giudicata sufficiente a violare ogni rapporto di fiducia, oltre che sulla base dell’ infondatezza delle accuse espresse alla bozza di bilancio.
Tuttavia, come posto in rilievo dal Collegio, il legame fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro dirigenziale non può determinare alcuna automatica compressione del diritto di critica, di denuncia e di dissenso spettante al lavoratore.
Ne consegue che, anche nel rapporto di lavoro dirigenziale e ai fini della giustificatezza del recesso, l’obbligo di fedeltà del dirigente deve essere bilanciato con il diritto di critica, di denuncia e di dissenso al medesimo spettante, escludendo che l’esercizio di tali diritti, quando avvenga in maniera ragionevole e non pretestuosa nonché con modalità formalmente corrette, possa integrare di per sé la nozione di giustificatezza del licenziamento.
Da tanto discende l’illegittimità del licenziamento del dirigente che, anche al fine di non incorrere in responsabilità verso la società per atti e comportamenti degli amministratori, eserciti, con modalità non diffamatorie o offensive, il proprio diritto al dissenso.

IVA: effetti sul termine di presentazione della dichiarazione integrativa


Il Fisco fornisce chiarimenti sul differimento dei termini di accertamento IVA e gli effetti sul termine di presentazione della dichiarazione integrativa (AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 09 giugno 2022, n. 328)

Nella fattispecie esaminata dall’Amministrazione finanziaria, l’istante ritiene di essere nei termini per presentare la dichiarazione integrativa della Dichiarazione IVA 2014 al fine di modificare la scelta dell’utilizzo di un credito IVA da rimborso, come manifestato nella dichiarazione originariamente presentata, a detrazione e/o compensazione.
La Società, infatti, come meglio argomentato nel seguito, ritiene di poter presentare una dichiarazione integrativa della Dichiarazione IVA 2014 fintantoché non sono spirati i termini per il controllo di detta dichiarazione originariamente presentata da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Orbene, nel caso di specie, il termine di decadenza del potere di accertamento in relazione alla Dichiarazione IVA 2014 è ancora in corso, in quanto lo stesso è rimasto sospeso per il periodo che è intercorso tra il quindicesimo giorno successivo alla data in cui l’Ufficio ha notificato la Richiesta Documenti (aprile 2016) e la data in cui la Società ha adempiuto a tale richiesta con la Consegna Documenti (3 luglio 2020).
Tale dilatazione dei tempi per la risposta è stata causata da particolari accadimenti, in precedenza descritti, per cui la Società ha potuto presentare la documentazione comprovante il proprio diritto al rimborso solo quando è riuscita a definire compiutamente la propria posizione debitoria nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e si è conclusa l’attività di controllo medio tempore avviata dall’Ufficio pur se relativa ad un’altra annualità.
Il Fisco, a riguardo, ritiene che il rinvio ai «termini stabiliti dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633» ad opera del comma 6- bis dell’articolo 8 del d.P.R. n. 322 del 1998 – con riferimento alle tempistiche di presentazione della dichiarazione integrativa ai fini IVA – non può che far riferimento ai termini “ordinari” disciplinati dal comma 1 dell’articolo 57 per le motivazioni di seguito esposte.
Anzitutto – per finalità di coerenza ed organicità del sistema – vi è l’esigenza di garantire continuità con il passato, laddove, l’originario rinvio – ai fini della presentazione della dichiarazione integrativa “a favore”, anche per l’IVA oltre che per le imposte sui redditi e dell’IRAP – ai termini di cui all’articolo 2, comma 8- bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, non contemplava alcuna forma di “differimento” ancorata alle tempistiche di presentazione della documentazione richiesta ai fini dell’erogazione dei rimborsi IVA.
L’allungamento dei tempi di presentazione della dichiarazione integrativa “a favore”, con l’introduzione altresì di una norma ad hoc ai fini IVA, non altera la natura dell’istituto, di natura premiale, finalizzato a consentire al contribuente di emendare gli errori compiuti all’atto della presentazione della dichiarazione originaria, prima di essere raggiunto dall’azione accertatrice dell’Ufficio impositore.
Orbene, il “differimento” contemplato dal comma 3 del richiamato articolo 57, rappresenta uno “strumento di controllo”, volto ad evitare strumentalizzazioni che potrebbero ravvisarsi nell’ipotesi in cui, come detto, il contribuente pretestuosamente “temporeggi” nell’ottemperare alla richiesta dell’Ufficio di presentazione della documentazione necessaria ai fini dell’erogazione dei rimborsi IVA, con l’obiettivo di far decorrere i termini per l’accertamento.


Trattasi, dunque, di una misura posta a presidio dei poteri dell’Ufficio, la cui applicazione discende dall’adozione di una condotta del contribuente scorretta o omissiva, da cui pertanto non può derivare un beneficio a suo favore, qual è l’allungamento dei termini di presentazione della dichiarazione integrativa.
Resta fermo che, in base all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 443, nell’ipotesi in cui il rimborso fosse denegato per difetto dei presupposti stabiliti dall’articolo 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, con contestuale riconoscimento della spettanza del credito, ne sarebbe ammessa la «detrazione, successivamente alla notificazione» del provvedimento di diniego, «in sede di liquidazione periodica, ovvero nella dichiarazione annuale».