Trattenuta quota contrattuale a maggio per il CCNL Tessile-Abbigliamento-Moda

Effettuata, con la busta paga del mese di maggio, la trattenuta per il versamento della quota di sottoscrizione contrattuale dalle Organizzazioni sindacali a carico dei lavoratori non iscritti al CCNL Tessile-Abbigliamento-Moda

I lavoratori che non hanno voluto effettuare la trattenuta per il versamento della quota di sottoscrizione contrattuale lo hanno comunicato per iscritto alla Direzione aziendale entro il mese di aprile
Diversamente, per gli altri lavoratori, l’Azienda provvederà ad effettuare la trattenuta di 40 Euro sul saldo della retribuzione del mese di maggio 2022.
Entro il 31/7/2022, l’Azienda dovrà versare le trattenute sul seguente c/c: n. IBAN IT13U0832703211000000004904 presso BANCA di Credito Cooperativo di Roma – ag. 7, intestato a Femca-Cisl, Filctem-Cgil, Uiltec-Uil, a mezzo di bonifico bancario ordinario, specificando la denominazione dell’azienda versante ed il luogo in cui essa svolge la sua attività.
Entro il 30/9/2022, le Direzioni aziendali comunicheranno alle R.S.U., o in mancanza alle Organizzazioni Sindacali territoriali di Femca-Cisl, Filctem-Cgil e Uiltec- Uil, esclusivamente l’ammontare complessivo trattenuto (allegando fotocopia della ricevuta del versamento delle quote di sottoscrizione effettuato tramite bonifico bancario) unitamente al numero complessivo degli aderenti alla sottoscrizione e al numero dei dipendenti in forza.
I dati e la documentazione relativa alla sottoscrizione saranno conservati dall’Azienda fino al giorno 31/12/2022 e successivamente potranno essere distrutti. Le Organizzazioni Sindacali provinciali FEMCA-CISL, FILCTEM-CGIL e UILTEC-UIL potranno richiedere, entro il 31/12/2022, alle Direzioni aziendali un atto notarile che, salvaguardando la segretezza dei nominativi dei lavoratori, attesti esclusivamente il numero complessivo dei non aderenti alla sottoscrizione.

Trasferimento ad altra sede: quando è legittimo il rifiuto del lavoratore


Il rifiuto del lavoratore di trasferimento ad altra unità produttiva è legittimo se opposto in reazione all’ illegittima condotta del datore, il quale abbia eluso il comando giudiziale di reintegra dello stesso lavoratore nel luogo e nelle mansioni originariamente svolte (Corte di Cassazione, Ordinanza 19 maggio 2022, n. 16206).


La vicenda


Confermando la sentenza di primo grado, la Corte di appello territoriale aveva annullato il licenziamento intimato per motivi disciplinari al dipendente, al quale la società datrice di lavoro aveva addebitato l’abbandono del posto di lavoro; l’assenza ingiustificata dal servizio nei giorni successivi a tale abbandono, nonchè la circostanza che ciò fosse avvenuto in assenza di motivazione da parte del lavoratore.
A fondamento della decisione il giudice d’appello rilevava che, mentre l’allontanamento e l’assenza nei giorni successivi potevano essere considerati pacifici, in quanto non negati dal lavoratore, non sussisteva, invece, l’ulteriore elemento integrante la condotta addebitata, ovvero la mancata motivazione della stessa; tramite lettera, infatti, il dipendente aveva spiegato le ragioni del suo comportamento, ponendole in relazione al provvedimento datoriale, adottato in esecuzione di precedenti sentenze di reintegra del lavoratore, divenute definitive, con cui era stato assegnato in via definitiva presso altra sede.
Secondo la Corte distrettuale la condotta del lavoratore non presentava profili di illiceità, dovendo essere posta in relazione all’ illegittima condotta datoriale, dal momento che la società datrice non solo aveva tardato, anche a fronte di ripetuti solleciti del lavoratore, ad eseguire ben due sentenze definitive di reintegra del lavoratore, ma ne aveva sostanzialmente eluso il comando passato in giudicato; la reintegra non era avvenuta, infatti, nel luogo e nelle mansioni originarie e l’assegnazione a sede diversa da quella precedente configurava di fatto un trasferimento ad altra unità produttiva che avrebbe dovuto essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, la cui mancanza qualificava come illecita la condotta datoriale e giustificava il comportamento del lavoratore.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società datrice di lavoro.


La pronuncia della Cassazione


I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso, rilevando, nel caso di specie, la conformità a buona fede dell’inadempimento del lavoratore, condividendo il risultato della verifica operata, in tal senso, dalla Corte di merito.
Gli stessi hanno evidenziato che la particolare gravità della condotta datoriale, consistente nel ritardo con cui la società aveva dato esecuzione all’ordine di reintegrazione e nella sostanziale elusione del giudicato, attraverso la ricollocazione del lavoratore in un luogo diverso da quello originario, mediante trasferimento non sorretto da ragioni giustificative dello stesso, imponeva di ritenere legittima e, dunque, giustificata la reazione del lavoratore, valutando questa conforme a buona fede.


Nel caso in argomento, in particolare, dal raffronto tra l’inadempimento datoriale e il rifiuto opposto dal lavoratore emergeva l’obiettiva, speciale, gravità della condotta datoriale, direttamente incidente su aspetti di pregnante rilievo esistenziale, attinenti al medesimo diritto al lavoro ed al luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.
In conclusione, la Suprema Corte ha ribadito il principio, adeguatamente applicato in sede di merito nel caso in esame, secondo cui, la verifica della contrarietà o meno a buona fede del comportamento del lavoratore deve essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie, nell’ambito delle quali si può tenere conto dell’ entità dell’inadempimento del datore in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza di tale inadempimento su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale indicazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, come pure dell’ incidenza del comportamento del lavoratore sull’organizzazione datoriale e più in generale sulla realizzazione degli interessi aziendali, nell’ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco, costituzionalmente garantiti.

Fisco: istruzioni operative in materia di prezzi di trasferimento


Fornite istruzioni operative in merito alla corretta interpretazione della nozione di “intervallo di libera concorrenza” (Agenzia delle entrate – Circolare 24 maggio 2022, n. 16/E).

La corretta applicazione del metodo più appropriato per la determinazione dei prezzi di trasferimento può portare a ottenere anziché un unico valore, un intervallo di valori tutti conformi al principio di libera concorrenza.
In questi casi è possibile ricorrere all’intera gamma di valori all’interno dell’intervallo di libera concorrenza (cd. “full range”) se tutte le operazioni individuate nell’intervallo sono parimenti comparabili.
Se, invece, alcune delle transazioni comprese nell’intervallo dovessero presentare difetti di comparabilità che non possono essere identificati o quantificati in modo affidabile e, quindi, rettificati, è preferibile l’utilizzo di “metodi statistici” (al fine di rafforzarne l’affidabilità) e di un valore compreso nell’intervallo ristretto. Il ricorso, invece, ad un valore il più possibile centrale all’interno dell’intervallo (anche al fine di minimizzare il rischio di errore dovuto alla presenza di tali difetti) deve essere limitato ai casi in cui l’intervallo non comprende valori caratterizzati da sufficiente grado di comparabilità neppure per considerare affidabile qualsiasi punto compreso nell’intero intervallo ristretto tramite strumenti statistici e deve, in ogni caso, essere specificamente motivato.
Pertanto, sarà cura degli Uffici far ricorso al “full range” ai fini della individuazione dell’intervallo di libera concorrenza soltanto in quei casi in cui sia ravvisabile una perfetta comparabilità di tutti i soggetti del set con la “tested party”.
In conclusione, nel ricordare nuovamente che secondo le Linee Guida OCSE l’individuazione di un insieme di valori potrebbe essere sintomatico del fatto che l’applicazione del principio di libera concorrenza consente in determinate circostanze di pervenire unicamente a un’approssimazione delle condizioni che sarebbero state stabilite tra imprese indipendenti, l’Agenzia raccomanda di argomentare puntualmente le rettifiche che comportano l’individuazione del punto che soddisfa maggiormente il principio di libera concorrenza all’interno dell’intervallo.


 

Trattamento fiscale del reddito prodotto da un consulente per l’attività resa ad un Ministero italiano


L’Agenzia delle Entrate con la risposta 20 maggio 2022, n. 285 ha fornito chiarimenti sul trattamento fiscale applicabile, ai fini Irpef e IVA, al reddito di lavoro autonomo prodotto da un soggetto residente nei Paesi Bassi per un’attività di consulenza resa ad un Ministero Italiano.

Nel caso di specie, all’Agenzia delle Entrate è stato chiesto se, sul compenso spettante al consulente non residente per il contratto individuale di collaborazione, si debba applicare la ritenuta alla fonte di cui all’art. 25, co. 2, D.P.R. n. 600/1973, e se, quindi, il medesimo compenso rientri tra quelli di lavoro autonomo in ragione del collegamento tra l’attività di consulenza prestata dal professionista e l’oggetto della professione svolta dallo stesso.
Va premesso che in base all’ordinamento tributario domestico, il criterio di collegamento ai fini dell’attrazione dei compensi nella potestà impositiva dello Stato è costituito dal luogo ove è svolta la prestazione lavorativa; di fatto, sono imponibili in Italia i soli compensi corrisposti ai lavoratori autonomi non residenti, per l’attività lavorativa svolta in Italia.
La normativa domestica deve, tuttavia, essere coordinata con le disposizioni internazionali contenute nella Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Paesi Bassi.
In particolare, nel caso in esame, occorre fare riferimento all’art. 14, co. 1, della Convenzione in base al quale “I redditi che un residente di uno degli Stati ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in questo Stato, a meno che detto residente non disponga abitualmente nell’altro Stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma solamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa”.
La norma convenzionale stabilisce, in sostanza, che i compensi derivanti dall’attività professionale sono imponibili solo nello Stato di residenza del professionista, a meno che detto professionista non disponga abitualmente di una base fissa per l’esercizio della sua attività nello Stato contraente da cui provengono i compensi. In tal caso, i redditi sono imponibili anche nello Stato contraente, ma solamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa.
Il dubbio interpretativo dell’ Istante riguarda proprio la verifica della disponibilità, da parte del professionista, di una base fissa in Italia per l’esercizio dell’attività professionale.
Al riguardo, si ricorda che, sebbene le Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese facciano riferimento, per le professioni indipendenti, all’espressione “base fissa”, non ne delimitano precisamente i contorni.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza, la nozione in parola è da ricavare facendo ricorso ai criteri ermeneutici propri dell’interpretazione dei trattati.
Sulla base di quanto emerge nel Commentario del Modello OCSE all’articolo 5, paragrafo 2, il concetto di “base fissa” deve essere assimilato al concetto di “stabile organizzazione”, ossia una sede fissa di affari in cui il professionista esercita in tutto o in parte la sua attività indipendente.
Secondo la giurisprudenza, la base fissa può essere equiparata alla nozione di stabile organizzazione i cui elementi costitutivi sono quello materiale ed oggettivo della “sede fissa di affari” e quello dinamico dell’esercizio in tutto o in parte della sua attività. Può essere costituita anche da un locale o da una stanza di proprietà di altri soggetti che, tuttavia, deve essere a disposizione del lavoratore autonomo e nel quale questo esercita la sua attività o parte della stessa.
Un tipico esempio è quello di un pittore che, per due anni, trascorre tre giorni a settimana nel grande edificio del suo principale cliente. In tal caso, la presenza del pittore in quell’edificio dove svolge le funzioni più importanti della sua attività (cioè la pittura) costituisce una stabile organizzazione del pittore.
Ciò posto, stabilire se il professionista in esame abbia a disposizione un luogo che possa considerarsi una “base fissa” in Italia, quale ad esempio, la struttura logistica messa a disposizione dal Ministero, dipenderà dal potere effettivo del Consulente non residente di utilizzare tale ubicazione per svolgere la sua attività professionale, nonché dalla portata della presenza del professionista in quel luogo e delle concrete attività che vi svolgerà.
Pertanto, nella ipotesi in cui il Consulente utilizzi le strutture logistiche presenti presso gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro integrando nei termini sopra descritti i requisiti della sussistenza di una “sede fissa” di affari in Italia, è possibile applicare sui compensi erogati la ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%.


Ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, occorre valutare la sussistenza dei presupposti soggettivo, oggettivo e territoriale recati dall’art. 1 del decreto Iva, ai sensi del quale “L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni”.
Nel caso di specie, in cui il Ministero non risulta titolare di partita Iva, non risultano integrate le condizioni per considerare la prestazione di servizi territorialmente rilevante in Italia.


Il prestatore di servizi estero dovrà quindi emettere fattura con l’addebito dell’Iva secondo le regole vigenti nello Stato estero.